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Zucca lunga di Napoli, la “zuccarina”

Vista la tradizionalità di questo prodotto, abbiamo chiesto a Napoli Ritrovata di supportarci nella ricerca di riferimenti che ne descrivessero l’appartenenza alla cultura popolare partenopea. Ecco l’articolo scritto per noi di Gaia.

Denominazione e provenienza

La zucca, assieme alle patate e al pomodoro, arriva in Europa grazie alla scoperta delle Americhe. La sua provenienza è più specificamente della zona centrale dell’America Latina. Si è ben innestata nel nostro continente, tanto che sul mercato ve ne sono di diverse varietà. Differenti per forma, dimensioni e colori. Quella che fa parte della tradizione campana è denominata lunga napoletana o piena di Napoli o, meglio ancora, “cucozza zuccarina”. I tre diversi nomi indentificano le peculiarità di questa zucca. Si presenta, infatti, allungata, con una sottile buccia verde e completamente piena di polpa soda, di colore arancio intenso, e dal sapore dolce. L’origine delle sue prime coltivazioni campane risale all’area dell’Agro Nocerino-Sarnese, diffuse poi nella provincia napoletana.

Rischio di estinzione

La zucca lunga napoletana è una varietà tradizionale a rischio d’estinzione per le sue ridotte colture in tutta la regione. È per questo entrata nell’elenco delle colture del programma di salvaguardia delle biodiversità della fondazione Slow Food.

Tradizione nella cultura napoletana

La cucozza zuccarina è sicuramente un ingrediente della cucina povera del popolo napoletano da sempre. Probabilmente perché quasi tutto quello che il popolo poteva coltivare da sé era in effetti povero, ma anche tradizionale in cucina. La sua presenza nella cultura popolare partenopea è certamente legata alla figura di Eduardo De Filippo che la cita nella sua commedia Gennareniello, in maniera generica. In un dialogo tra due personaggi della commedia, Concetta la moglie del protagonista e Fedora sorella, Eduardo fa dire a quest’ultima: ‘O maestro voleva sapere da me che cosa si mangia. Io gliel’ho detto che è pasta e cocozza, ma ha fatto la faccia amara… E questo conferma l’ipotesi che nonostante fosse un piatto tradizionale, certo non era il più pregiato. Seconda citazione di Eduardo, questa volta specifica per la varietà di cui si parla, è presa dal poemetto culinario Si cucine comme vogli ‘i.

E si ‘a lasse, quann’è cotta,
ncopp”a tavul”e cucina,
‘a cucozza zuccarina
nziem”a pasta a repusà,

cu na pùnt”e cerasiello
sti manfrede c”a cucozza,
si è tupella vaie ncarrozza,
si è vullenta ll”i”a jettà!

Eduardo

Estrapolandone il senso: la pasta e zucca (cucozza zuccarina), nella fattispecie i manfredi, vanno mangiati tiepidi e con una po’ (punta) di peperoncino (cerasiello). E conclude: se sono tiepidi, te li godi (vaie ncarrozza) ma se sono bollenti, vanno solo buttati.

Il poemetto è una interpretazione personale della cucina napoletana e dei suoi piatti tipici. Eduardo, a modo suo, ha voluto dedicare a questi dei versi, nella consapevolezza del poeta e del cuoco che era.

La zucca di Gaia

Come è chiaro dalle righe precedenti, il modo tradizionale di sposare la zucca lunga napoletana è con la pasta. Tuttavia si presta a diversi tipi di trasformazioni o conservazioni. Quella che si è scelta per i prodotti di Gaia è grigliata e sottolio. La zucca grigliata, assieme ai friarielli, sono stati separati dagli altri prodotti in barattolo e fanno linea a sé con il nome di Sottolio di Gaia. Questo metodo di conservazione, grigliata a fette sottili e sommerse dall’olio, con una “punta di peperoncino”, è in effetti anch’esso un modo tradizionale di conservare la zucca che, dopo il periodo estivo, non sarebbe più stata disponibile.

Perché abbiamo deciso di collaborare con Napoli Ritorvata?

Napoli Ritrovata è un progetto di salvaguardia della cultura popolare partenopea che si è fatto carico di una piccola iniziativa di studio e riscoperta della storia di Napoli. Attraverso gadget comuni, questo progetto veicola la canzone napoletana, i detti antichi, la smorfia e tutto quello che fa parte della ricchissima cultura partenopea, passando ovviamente per chi l’ha nutrita e la sostiene. Troverete altre informazioni sul sito www.napoliritrovata.it

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Erbe officinali e aromatiche, un piccolo percorso sensoriale su Gaia.

Dopo il nostro articolo sulle potature delle viti di Gaia, ecco alcune novità dalla nostra azienda agricola.

Fin dal Medioevo, ogni monastero era dotato di ciò che veniva comunemente chiamato Giardino dei semplici. In questo luogo venivano coltivate erbe aromatiche e officinali sotto la sapiente guida di un erborista esperto.

Le piante aromatiche o officinali rappresentano un gruppo eterogeneo di piante caratterizzate da alcune sostanze capaci di dare aroma e sapore a cibi e bevande. Inoltre, le caratteristiche medicamentose di molte di esse, ne giustificano il loro impiego non soltanto in cucina, ma anche in ambito cosmetico e curativo. Questo grazie all’estrazione dei rispettivi principi attivi a seguito di una serie di processi quali essiccazione, triturazione, macerazione e distillazione.

Coerentemente con il nostro stile di produzione e di concezione dell’agricoltura, che riassumiamo con il nostro payoff Come una volta, non potevamo non riservare una parte di Gaia alla creazione del nostro Giardino dei semplici, dove coltivare piante officinali o aromatiche per una serie di scopi che vi illustreremo di volta in volta. Per realizzare questo progetto, abbiamo deciso di avvalerci della guida di un’azienda specializzata nella produzione biologica di erbe aromatiche, officinali, alimurgiche e mellifere, la GEEL Floricoltura.

Attraverso il loro supporto abbiamo individuato una serie di piante idonee al terreno vulcanico presente su Gaia e alle condizioni climatiche del luogo. Da questo attento studio è stato realizzato il nostro piccolo giardino. Lo abbiamo concepito come un percorso sensoriale per la stimolazione olfattiva, un’oasi per api, pronubi e farfalle e come un arricchimento della nostra realtà agricola.

La nostra selezione

Al momento sono presenti circa cinquanta varietà diverse di piante. Tra queste alcune più comuni come timo, salvia, melissa, dragoncello, origano, e altre più ricercate come la calendula, la verbena, la malva e vari tipi di menta. Ognuna con caratteristiche ben precise e dagli impieghi più disparati.

Ecco il nostro piccolo giardino di erbe officinali e aromatiche.

L’obiettivo che ci siamo prefissati con questo progetto è ampliare la gamma delle varietà di colture e degli spazi a queste dedicate, per espandere al contempo energia positiva da restituire ai visitatori di Gaia e prepararci quindi ad accoglierne tantissimi, il prima possibile.

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Friarielli: i broccoli napoletani

I friarielli sono riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentarie Foreste come prodotti agroalimentari della tradizione campana, su proposta della Regione Campania.

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli

Per questo abbiamo chiesto a Napoli Ritrovata di supportarci nella ricerca delle origini di queste verdure ed ecco cosa narra la storia della città.

Etimologia del nome

L’origine del nome friarielli è incerta, divisa tra due scuole di pensiero forse valide parimenti. Secondo alcuni il nome deriva dal termine spagnolo frio-grelos ovvero broccoletti d’inverno. Visto il periodo storico al quale si fanno risalire i primi utilizzi delle verdure, coincidente con la dominazione spagnola a Napoli, e al tempo di coltura di queste, la teoria può essere valida. La seconda scuola di pensiero vuole che il loro nome derivi dalla modalità di cottura utilizzata dai napoletani, frijere ovvero friggere. Allo stesso modo, visto che è stata questa tipologia di cottura a renderli famosi, si può dire che sia altrettanto valida.

Coltivazioni

In origine, i friarielli venivano coltivati sulla collina del Vomero, per questo chiamata ‘o colle d’ ‘e firarielle. Oggi i friarielli sono coltivati in tutta l’area interna della Campania, quindi nei comuni vesuviani, ma anche nelle province di Avellino, Benevento e Salerno. È la fertilità straordinaria del terreno vulcanico, con la sua ricchissima componente minerale formata da potassio, ferro, silice, fosforo proveniente da ceneri, lapilli e roccia vulcanica, a dare il gusto caratteristico a queste verdure.

Racconti popolari

AL MASCHIO ANGIOINO

Una prima storia, che narra delle origini dei friarielli come piatto tipico della cultura partenopea, è quella delle zandraglie. Questo termine, ricco di accezione dispregiativa, era rivolto a donne volgari e rumorose, di sgradevole aspetto, che erano solite accalcarsi all’esterno delle tenute reali per recuperare gli scarti della cucina. Si racconta, infatti, che siano state proprio queste a scoprire come elaborare lo scarto dei grandi cuochi francesi, che consideravano inutilizzabili le cime di rapa. Dai balconi del Maschio Angioino veniva calati giù, senza troppi complimenti, scarti di cucina al grido di Les entrailles! Le interiora, per l’appunto. E le zandraglie si sarebbero potute uccidere per uno scarto in più! Il loro nome ha forse origine proprio dalla impropria pronuncia del termine francese che veniva urlato loro dai balconi.

AL RIONE MATERDEI

La seconda storia racconta della modalità di cottura dei friarielli che, grazie agli abitanti di Materdei – che si avvalgono di alcuni scritti antichi –, può essere fatta risalire precisamente al febbraio 1694. Pare che, in occasione dei festeggiamenti di un guappo del quartiere, una donna del vascio nella preparazione della sua specialità, le pizze fritte nella sugna, trad. int’ ‘a ‘nzogna, vista la mancanza dei pomodori abbia sopperito a questa con i friarielli, immergendoli appena lavati nella sugna bollente. L’odore che la donna ottenne riempì tutto il retro bottega, invadendo anche il vicolo di Sant’Agostino degli Scalzi, celebrando per sempre la preparazione ufficiale dei broccoli napoletani.

Che la storia sia vera oppure no, poco importa. Ciò che vale la pena puntualizzare è come i napoletani siano riusciti con il poco che avevano (scarti, alle volte) a creare un piatto nutriente, anche se di costituzione povero. I broccoli raccolti ancora con le infiorescenze chiuse, forse per fame, e il lardo di maiale, sicuramente più facile da reperire a quei tempi rispetto all’olio, sono prodotti semplici che insieme hanno realizzato un piatto che i cuochi francesi non erano riusciti ad inventarsi.
Oggi la sugna ha lasciato il posto all’olio, che è molto più stabile nelle cotture ad alte temperature, ma il metodo rimane principalmente quello. Si raccolgono, si ammonnano ovvero si rimuovono parti non destinate alla cottura, lavati per bene e calati così nell’olio bollente con aggiunta di sale e peperoncino durante la cottura.

I nostri friarielli

I friarielli di Gaia sono stati seminati a spaglio, rigorosamente a mano, in due qualità diverse: i dolci e le cosiddette fronne d’aulivo, foglie di ulivo, per la tipica forma della foglia del broccolo che assomiglia appunto a quella di un ulivo, più tipicamente amare e di assoluta provenienza vesuviana. Entrambe le qualità impiegano tra i 90 e i 120 giorni dalla semina alla fioritura e per ottenere un giusto equilibrio gustativo, senza rinunciare al carattere, abbiamo deciso di mischiarle in parti uguali. La raccolta delle sole cime e foglie più tenere è stata effettuata, sempre a mano, il 2 febbraio. Dopo l’incassettamento, lo stesso giorno, sono stati consegnati al piccolo laboratorio di trasformazione per essere cotti e messi sott’olio in barattolo, in modo da preservarne la conservazione per qualche mese in più.

Perché abbiamo deciso di collaborare con Napoli Ritorvata?

Napoli Ritrovata è un progetto di salvaguardia della cultura popolare partenopea che si è fatto carico di una piccola iniziativa di studio e riscoperta della storia di Napoli. Attraverso gadget comuni, questo progetto veicola la canzone napoletana, i detti antichi, la smorfia e tutto quello che fa parte della ricchissima cultura partenopea, passando ovviamente per chi l’ha nutrita e la sostiene. Troverete altre informazioni sul sito www.napoliritrovata.it

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Una forma e un’identità per Gaia

La storia e il processo creativo che c’è dietro il logo di Gaia.

Quando ho trovato il nome giusto da dare a questo luogo, ho sentito la necessità di distinguerlo con un marchio che esprimesse fino in fondo quello che desideravo realizzare. (Se non avete ancora letto l’articolo sul progetto di Gaia, potete farlo qui.) Per questo ho contattato un graphic designer che conoscevo e ho portato a lui tutto il carico di aspettative che avevo nel cuore. Dopo qualche tempo che ci siamo confrontati e ci siamo scritti sui concetti da fermare nel logo, ci sembrava mancasse sempre qualcosa. Alla fine ho capito che la progettazione non poteva mai iniziare col giusto proposito se il grafico non fosse almeno stato una volta su Gaia. Così, ci siamo dati un appuntamento e, insieme, siamo andati su Gaia. Gli ho parlato della sua storia, delle coltivazioni che stavo seguendo e della vegetazione che avevo già trovato lì al mio arrivo. Qualche tempo dopo ci siamo incontrati di nuovo e lui mi ha presentato delle proposte. Questa di seguito è quella che ho scelto e la presentazione del suo processo creativo. Buona lettura! 

Presentazione del logo per Gaia – Azienda agricola

Il processo creativo della proposta per il logo parte dal luogo, inteso come immobile. La forma astratta è in realtà la sintesi del perimetro dell’appezzamento. Dalla planimetria si è tracciato il suddetto, reso un’unica linea curva chiusa, è stato infine ruotato di pochi gradi per renderlo più equilibrato. Questa forma ricorda anche un sassolino. Uno di quelli che si trovano sulle spiagge, utilizzati per la pratica dello stone balancing. Wikipedia definisce questa pratica «una forma di espressione artistica consistente nella realizzazione di composizioni fatte con pietre poste in equilibrio una sull’altra, che in apparenza sembrano essere fisicamente impossibili». L’associazione che mette insieme la forma al sasso e il sasso allo stone balancing, restituisce immediatamente un senso di equilibrio e distensione. I colori del logo, così eterei, donano nel contempo anche un senso di serenità e pace. Infine, la forma piena, di colore celeste, contenuta dalla traccia, assomiglia ad uno specchio d’acqua, un piccolo lago. Rocce e acqua, due elementi naturali che legano immediatamente al nome Gaia, la dea madre di tutti gli dei, personificazione della Terra. Inoltre, rocce e acqua sono anche la sintesi dei due grandi panorami che si possono osservare dalla tenuta. Rispettivamente, il Vesuvio e il Golfo di Napoli.

Anche la scelta dei colori istituzionali è stata condizionata dal luogo stesso. Sono infatti i primi che si percepiscono arrivati in tenuta. Il celeste, è il colore del cielo che sembra poter essere abbracciato con uno sguardo. Così contrastante con il grigio scuro del terreno, quello di origine vulcanica che caratterizza l’intera area e che è anche così fertile. Fertile per tante qualità di piante, come ad esempio gli ulivi che con il loro verde arricchiscono lo scenario di Gaia.

Il font scelto per il progetto, progettato dalla Latinotype, si integra perfettamente con la forma astratta per le sue linee morbide e le A leggermente arcuate. 

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Gaia: una terra dove piantare desideri

Voglio raccontarvi in dettaglio cos’è Gaia e quali sono i miei progetti su questo meraviglioso luogo.

Quando mi sono messa alla ricerca di un appezzamento dove poter iniziare la mia nuova vita, ho valutato vari posti e varie località. Poi la mia scelta è ricaduta su un terreno nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, nel comune di Boscotrecase, uno dei tredici comuni vesuviani. Un fazzoletto di terra di circa un ettaro, dal terreno scuro, di origine vulcanica. Ho sentito subito empatia con questo luogo e una forte sensazione di serenità. Vi confesso che non ci è voluto poi tanto per decidere che questo luogo doveva essere quello dove piantare il mio desiderio di ristabilita relazione con la natura. Ho deciso di battezzare questo luogo Gaia, come la dea madre terra. Perché Gaia è la terra che accoglie tutti coloro che vogliono ritrovare il contatto con la natura e godere della sua energia vitale. È la terra che nutre con i suoi frutti, coltivati con la massima cura e rispetto per la biodiversità, nell’assennata ricerca dell’equilibrio perfetto tra tutti gli esseri viventi che la compongono. Gaia è un luogo che arricchisce con i suoi insegnamenti, che riempie gli occhi di stupore per la bellezza che la contraddistingue. 

Ma non è solo un luogo. Gaia è anche un progetto, un’idea di convivialità, accoglienza, cura, rispetto, cultura, condivisione, svago, genuinità, autenticità e amore. Un insieme di componenti, ascrivibili non soltanto alle pratiche colturali, ma anche ad una serie di servizi che questo luogo si propone di offrire a chi vorrà prendervi parte. Anzitutto, mi riferisco ad un servizio di somministrazione e di degustazione a tuttotondo. Oltre ai nostri prodotti, disponibili stagionalmente a seconda del periodo, il progetto prevede degustazioni guidate di vini per aree tematiche, piccoli corsi di avvicinamento al vino in generale e alla scoperta di abbinamenti cibo/vino. C’è una grande cultura dietro a questi elementi. Da sommelier professionista, attraverso Gaia, desidero condividere con voi l’incredibile mondo che si cela dietro ad un bicchiere della nobile bevanda. Fino ad arrivare, quando i tempi saranno maturi e il nostro progetto vitivinicolo raggiungerà pieno compimento, alla presentazione della nostra produzione di vino locale.  

Gaia sarà inoltre disponibile per eventi privati. Accoglieremo piccoli gruppi di persone che sentono la necessità o il desiderio di ritrovare il contatto con la natura. Oppure artisti o professionisti, per eventi culturali, artistici e per serate di musica dal vivo. Non mancheranno le attività didattiche. Gaia infatti si propone di iscriversi all’albo delle fattorie didattiche della Regione Campania, con l’obiettivo di organizzare laboratori culturali e colturali per i bambini di ogni età. Secondo il mio parere, proprio ai più piccoli non dovrebbe mai mancare il contatto con la terra, con le piante, i fiori, gli animali. Da loro bisogna, infatti, partire per portare alle luce quei valori propri della terra, che ci aiuteranno a ricostruire un mondo e quindi una società migliore.

Gaia è un luogo lontano dai condizionamenti e dalle sovrastrutture della società di oggi. Lontano da un mondo in cui la sostanza lascia sempre più il posto all’apparenza, dove i sentimenti e i valori si sviluppano superficialmente e non affondando le radici in profondità. Dalla nostra società in cui il consumismo prevarica sulla salubrità dell’ambiente, dove l’essenziale diventa “invisibile agli occhi”. Dove l’individualismo cela la collettività di un sistema naturale in cui noi umani siamo chiamati a convivere e a rispettare altre specie viventi, animali e vegetali. La verità è che siamo soltanto una parte del tutto, ma facciamo fatica a capirlo, pur essendo indubbiamente gli esseri più intelligenti del pianeta. 

Bene, penso non esisti tempo più adatto per cambiare rotta e provare a rompere gli schemi sociali fin qui imposti. Io, nel mio piccolo, ho deciso di farlo con Gaia.