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Zucca lunga di Napoli, la “zuccarina”

Vista la tradizionalità di questo prodotto, abbiamo chiesto a Napoli Ritrovata di supportarci nella ricerca di riferimenti che ne descrivessero l’appartenenza alla cultura popolare partenopea. Ecco l’articolo scritto per noi di Gaia.

Denominazione e provenienza

La zucca, assieme alle patate e al pomodoro, arriva in Europa grazie alla scoperta delle Americhe. La sua provenienza è più specificamente della zona centrale dell’America Latina. Si è ben innestata nel nostro continente, tanto che sul mercato ve ne sono di diverse varietà. Differenti per forma, dimensioni e colori. Quella che fa parte della tradizione campana è denominata lunga napoletana o piena di Napoli o, meglio ancora, “cucozza zuccarina”. I tre diversi nomi indentificano le peculiarità di questa zucca. Si presenta, infatti, allungata, con una sottile buccia verde e completamente piena di polpa soda, di colore arancio intenso, e dal sapore dolce. L’origine delle sue prime coltivazioni campane risale all’area dell’Agro Nocerino-Sarnese, diffuse poi nella provincia napoletana.

Rischio di estinzione

La zucca lunga napoletana è una varietà tradizionale a rischio d’estinzione per le sue ridotte colture in tutta la regione. È per questo entrata nell’elenco delle colture del programma di salvaguardia delle biodiversità della fondazione Slow Food.

Tradizione nella cultura napoletana

La cucozza zuccarina è sicuramente un ingrediente della cucina povera del popolo napoletano da sempre. Probabilmente perché quasi tutto quello che il popolo poteva coltivare da sé era in effetti povero, ma anche tradizionale in cucina. La sua presenza nella cultura popolare partenopea è certamente legata alla figura di Eduardo De Filippo che la cita nella sua commedia Gennareniello, in maniera generica. In un dialogo tra due personaggi della commedia, Concetta la moglie del protagonista e Fedora sorella, Eduardo fa dire a quest’ultima: ‘O maestro voleva sapere da me che cosa si mangia. Io gliel’ho detto che è pasta e cocozza, ma ha fatto la faccia amara… E questo conferma l’ipotesi che nonostante fosse un piatto tradizionale, certo non era il più pregiato. Seconda citazione di Eduardo, questa volta specifica per la varietà di cui si parla, è presa dal poemetto culinario Si cucine comme vogli ‘i.

E si ‘a lasse, quann’è cotta,
ncopp”a tavul”e cucina,
‘a cucozza zuccarina
nziem”a pasta a repusà,

cu na pùnt”e cerasiello
sti manfrede c”a cucozza,
si è tupella vaie ncarrozza,
si è vullenta ll”i”a jettà!

Eduardo

Estrapolandone il senso: la pasta e zucca (cucozza zuccarina), nella fattispecie i manfredi, vanno mangiati tiepidi e con una po’ (punta) di peperoncino (cerasiello). E conclude: se sono tiepidi, te li godi (vaie ncarrozza) ma se sono bollenti, vanno solo buttati.

Il poemetto è una interpretazione personale della cucina napoletana e dei suoi piatti tipici. Eduardo, a modo suo, ha voluto dedicare a questi dei versi, nella consapevolezza del poeta e del cuoco che era.

La zucca di Gaia

Come è chiaro dalle righe precedenti, il modo tradizionale di sposare la zucca lunga napoletana è con la pasta. Tuttavia si presta a diversi tipi di trasformazioni o conservazioni. Quella che si è scelta per i prodotti di Gaia è grigliata e sottolio. La zucca grigliata, assieme ai friarielli, sono stati separati dagli altri prodotti in barattolo e fanno linea a sé con il nome di Sottolio di Gaia. Questo metodo di conservazione, grigliata a fette sottili e sommerse dall’olio, con una “punta di peperoncino”, è in effetti anch’esso un modo tradizionale di conservare la zucca che, dopo il periodo estivo, non sarebbe più stata disponibile.

Perché abbiamo deciso di collaborare con Napoli Ritorvata?

Napoli Ritrovata è un progetto di salvaguardia della cultura popolare partenopea che si è fatto carico di una piccola iniziativa di studio e riscoperta della storia di Napoli. Attraverso gadget comuni, questo progetto veicola la canzone napoletana, i detti antichi, la smorfia e tutto quello che fa parte della ricchissima cultura partenopea, passando ovviamente per chi l’ha nutrita e la sostiene. Troverete altre informazioni sul sito www.napoliritrovata.it

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Il Sovescio. Concimazione organica del suolo “come una volta”.

Cos’è il Sovescio.

Il sovescio rappresenta un’antichissima pratica agricola atta ad incrementare “naturalmente” la fertilità biologica del suolo; ad aumentare la quantità di sostanza organica presente; e infine ad evitare fenomeni di erosione grazie all’inerbimento che ne deriva, il tutto attraverso una coltivazione seminata appositamente sulla porzione di terreno interessata.  Può essere mono specie o multi specie a seconda della varietà dei semi impiegati. Le piantine che fioriranno saranno destinate ad essere trinciate ed interrate, favorendo la formazione di biomassa prontamente disponibile per il nutrimento dei microrganismi terricoli. Il terreno dedicato al sovescio resta chiaramente occupato per tutta la durata del ciclo di crescita dei semi. Questo tempo può variare dai due ai sei mesi, a seconda di quando viene eseguita la semina e di quali specie si scelgono.

I sovesci si possono seminare all’inizio dell’autunno, verso la fine dell’inverno o a inizio primavera. I più comuni, come è avvenuto nel nostro caso, si effettuano ad inizio autunno, generalmente entro la fine del mese di ottobre. La scelta della specie di semi da sovescio è determinante per la buona riuscita della pratica. In questa fase sono da considerare il momento della semina, e precisamente la stagione entro cui ci si trova, e l’obiettivo che si vuole perseguire. 

Le specie di Sovescio.

Le specie comunamente utilizzabili sono:

  • Graminacee: tipiche colture da copertura, assorbono l’azoto contenuto nel suolo preservandolo dal dilavamento causato da avverse condizioni atmosferiche (cd. effetto “catch crop”), restituendolo in profondità una volta interrate. Fanno parte di questa categorica di semi le specie cerealicole classiche come l’orzo, la segale e l’avena; specie più adatte a foraggio come il loietto perenne; o ancora essenze da prato e pascolo come il fleolo, la dactylis e le festuche.
  • Leguminose: apportano azoto grazie alla simbiosi radicale con i batteri azotofissatori (leggi qui per approfondimenti). All’interno di questa famiglia, le specie più utilizzate sono i trifogli, la veccia, nelle due varietà sativa e villosa, la fava, la lupinella e il pisello.
  • Crucifere: svolgono un’azione biocida-sanificante verso molti patogeni e anche un certo effetto di soffocamento delle erbe infestanti. Tra queste vanno sicuramente annoverate la senape bianca, la rucola, il rafano, il rapestone che, dotati di radice fittonante, sono capaci di lavorare il terreno in profondità.
  • Altre specie: grano saraceno, ad esempio, si semina in tarda primavera ed ha un ciclo veloce, copre bene il suolo e rappresenta un valido antagonista di specie infestanti, riuscendo in taluni casi ad inibirne la germinazione. Anche la facelia, della famiglia della borragine, è adatta al sovescio, ma con semina primaverile, essendo particolarmente sensibile al freddo. Funge soprattutto da “calamita” per le api.

Procedimenti, prima e dopo.

Prima di procedere al sovescio, è necessario preparare il letto di semina come per qualsivoglia coltivazione, si procede poi alla semina classica, meccanica o manuale a spaglio, con quantità di semi variabili tra i 50 e i 200kg/ha circa, a seconda anche delle grandezza dei semi scelti. Al momento della fioritura, stato di crescita della pianta ottimale in termini di rigoglio e vigore dei tessuti verdi, si procede alla rasatura, a cui segue breve appassimento sulla superficie del terreno, prima del definitivo interramento.

Noi, su Gaia.

Come sapete, anche noi di Gaia quest’anno abbiamo optato per una concimazione autunnale “verde” a base di sovescio multi specie, alternandola a quella a base di letame animale impiegata lo scorso anno. L’obiettivo è quello di ottenere una maggiore fertilità del suolo, aumentarne la sostanza organica, nell’ottica di una nuova coltura primaverile, che vi sveleremo nei mesi a venire. La nostra scelta è stata quella di nutrire Gaia dell’apporto organico di cui necessita dopo gli sforzi fatti nell’ultimo periodo. Un atto di rispetto e di riconoscenza per tutto quello che ci ha donato in questi mesi, perché infondo tra uomo e terra dovrebbe istaurarsi un rapporto di reciprocità fondato sul rispetto, la cura, l’attenzione e mai sullo sfruttamento. In base agli obiettivi di cui sopra, abbiamo optato per un mix di semi di leguminose, quali fava e lupinella nello specifico, aggiungendo per la porzione di terreno che precedentemente ospitava un piccolo vigneto ormai definitivamente estirpato, semi di senape e rapestone con azione biocida. La semina è stata interamente gestita a mano, a spaglio, e poi procedendo ad una leggera copertura di terra sui semi sparsi mediante l’aiuto della zappa.

A questo punto, nostra amata Gaia, goditi il tuo meritato riposo e lascia che noi ci prendiamo cura di te, così come tu ti sei presa cura delle piantine che abbiamo deciso di darti in custodia. 

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Erbe officinali e aromatiche, un piccolo percorso sensoriale su Gaia.

Dopo il nostro articolo sulle potature delle viti di Gaia, ecco alcune novità dalla nostra azienda agricola.

Fin dal Medioevo, ogni monastero era dotato di ciò che veniva comunemente chiamato Giardino dei semplici. In questo luogo venivano coltivate erbe aromatiche e officinali sotto la sapiente guida di un erborista esperto.

Le piante aromatiche o officinali rappresentano un gruppo eterogeneo di piante caratterizzate da alcune sostanze capaci di dare aroma e sapore a cibi e bevande. Inoltre, le caratteristiche medicamentose di molte di esse, ne giustificano il loro impiego non soltanto in cucina, ma anche in ambito cosmetico e curativo. Questo grazie all’estrazione dei rispettivi principi attivi a seguito di una serie di processi quali essiccazione, triturazione, macerazione e distillazione.

Coerentemente con il nostro stile di produzione e di concezione dell’agricoltura, che riassumiamo con il nostro payoff Come una volta, non potevamo non riservare una parte di Gaia alla creazione del nostro Giardino dei semplici, dove coltivare piante officinali o aromatiche per una serie di scopi che vi illustreremo di volta in volta. Per realizzare questo progetto, abbiamo deciso di avvalerci della guida di un’azienda specializzata nella produzione biologica di erbe aromatiche, officinali, alimurgiche e mellifere, la GEEL Floricoltura.

Attraverso il loro supporto abbiamo individuato una serie di piante idonee al terreno vulcanico presente su Gaia e alle condizioni climatiche del luogo. Da questo attento studio è stato realizzato il nostro piccolo giardino. Lo abbiamo concepito come un percorso sensoriale per la stimolazione olfattiva, un’oasi per api, pronubi e farfalle e come un arricchimento della nostra realtà agricola.

La nostra selezione

Al momento sono presenti circa cinquanta varietà diverse di piante. Tra queste alcune più comuni come timo, salvia, melissa, dragoncello, origano, e altre più ricercate come la calendula, la verbena, la malva e vari tipi di menta. Ognuna con caratteristiche ben precise e dagli impieghi più disparati.

Ecco il nostro piccolo giardino di erbe officinali e aromatiche.

L’obiettivo che ci siamo prefissati con questo progetto è ampliare la gamma delle varietà di colture e degli spazi a queste dedicate, per espandere al contempo energia positiva da restituire ai visitatori di Gaia e prepararci quindi ad accoglierne tantissimi, il prima possibile.

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Friarielli: i broccoli napoletani

I friarielli sono riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentarie Foreste come prodotti agroalimentari della tradizione campana, su proposta della Regione Campania.

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli

Per questo abbiamo chiesto a Napoli Ritrovata di supportarci nella ricerca delle origini di queste verdure ed ecco cosa narra la storia della città.

Etimologia del nome

L’origine del nome friarielli è incerta, divisa tra due scuole di pensiero forse valide parimenti. Secondo alcuni il nome deriva dal termine spagnolo frio-grelos ovvero broccoletti d’inverno. Visto il periodo storico al quale si fanno risalire i primi utilizzi delle verdure, coincidente con la dominazione spagnola a Napoli, e al tempo di coltura di queste, la teoria può essere valida. La seconda scuola di pensiero vuole che il loro nome derivi dalla modalità di cottura utilizzata dai napoletani, frijere ovvero friggere. Allo stesso modo, visto che è stata questa tipologia di cottura a renderli famosi, si può dire che sia altrettanto valida.

Coltivazioni

In origine, i friarielli venivano coltivati sulla collina del Vomero, per questo chiamata ‘o colle d’ ‘e firarielle. Oggi i friarielli sono coltivati in tutta l’area interna della Campania, quindi nei comuni vesuviani, ma anche nelle province di Avellino, Benevento e Salerno. È la fertilità straordinaria del terreno vulcanico, con la sua ricchissima componente minerale formata da potassio, ferro, silice, fosforo proveniente da ceneri, lapilli e roccia vulcanica, a dare il gusto caratteristico a queste verdure.

Racconti popolari

AL MASCHIO ANGIOINO

Una prima storia, che narra delle origini dei friarielli come piatto tipico della cultura partenopea, è quella delle zandraglie. Questo termine, ricco di accezione dispregiativa, era rivolto a donne volgari e rumorose, di sgradevole aspetto, che erano solite accalcarsi all’esterno delle tenute reali per recuperare gli scarti della cucina. Si racconta, infatti, che siano state proprio queste a scoprire come elaborare lo scarto dei grandi cuochi francesi, che consideravano inutilizzabili le cime di rapa. Dai balconi del Maschio Angioino veniva calati giù, senza troppi complimenti, scarti di cucina al grido di Les entrailles! Le interiora, per l’appunto. E le zandraglie si sarebbero potute uccidere per uno scarto in più! Il loro nome ha forse origine proprio dalla impropria pronuncia del termine francese che veniva urlato loro dai balconi.

AL RIONE MATERDEI

La seconda storia racconta della modalità di cottura dei friarielli che, grazie agli abitanti di Materdei – che si avvalgono di alcuni scritti antichi –, può essere fatta risalire precisamente al febbraio 1694. Pare che, in occasione dei festeggiamenti di un guappo del quartiere, una donna del vascio nella preparazione della sua specialità, le pizze fritte nella sugna, trad. int’ ‘a ‘nzogna, vista la mancanza dei pomodori abbia sopperito a questa con i friarielli, immergendoli appena lavati nella sugna bollente. L’odore che la donna ottenne riempì tutto il retro bottega, invadendo anche il vicolo di Sant’Agostino degli Scalzi, celebrando per sempre la preparazione ufficiale dei broccoli napoletani.

Che la storia sia vera oppure no, poco importa. Ciò che vale la pena puntualizzare è come i napoletani siano riusciti con il poco che avevano (scarti, alle volte) a creare un piatto nutriente, anche se di costituzione povero. I broccoli raccolti ancora con le infiorescenze chiuse, forse per fame, e il lardo di maiale, sicuramente più facile da reperire a quei tempi rispetto all’olio, sono prodotti semplici che insieme hanno realizzato un piatto che i cuochi francesi non erano riusciti ad inventarsi.
Oggi la sugna ha lasciato il posto all’olio, che è molto più stabile nelle cotture ad alte temperature, ma il metodo rimane principalmente quello. Si raccolgono, si ammonnano ovvero si rimuovono parti non destinate alla cottura, lavati per bene e calati così nell’olio bollente con aggiunta di sale e peperoncino durante la cottura.

I nostri friarielli

I friarielli di Gaia sono stati seminati a spaglio, rigorosamente a mano, in due qualità diverse: i dolci e le cosiddette fronne d’aulivo, foglie di ulivo, per la tipica forma della foglia del broccolo che assomiglia appunto a quella di un ulivo, più tipicamente amare e di assoluta provenienza vesuviana. Entrambe le qualità impiegano tra i 90 e i 120 giorni dalla semina alla fioritura e per ottenere un giusto equilibrio gustativo, senza rinunciare al carattere, abbiamo deciso di mischiarle in parti uguali. La raccolta delle sole cime e foglie più tenere è stata effettuata, sempre a mano, il 2 febbraio. Dopo l’incassettamento, lo stesso giorno, sono stati consegnati al piccolo laboratorio di trasformazione per essere cotti e messi sott’olio in barattolo, in modo da preservarne la conservazione per qualche mese in più.

Perché abbiamo deciso di collaborare con Napoli Ritorvata?

Napoli Ritrovata è un progetto di salvaguardia della cultura popolare partenopea che si è fatto carico di una piccola iniziativa di studio e riscoperta della storia di Napoli. Attraverso gadget comuni, questo progetto veicola la canzone napoletana, i detti antichi, la smorfia e tutto quello che fa parte della ricchissima cultura partenopea, passando ovviamente per chi l’ha nutrita e la sostiene. Troverete altre informazioni sul sito www.napoliritrovata.it

articolo potatura vitiCategoriesSull'Agricoltura

Potatura della vigna: bellezza ed importanza

Siamo nel periodo più bello dell’anno per quel che concerne la viticoltura, o almeno per quanto mi riguarda… siamo nel pieno della fase di potatura secca delle viti, un momento cruciale non soltanto per quel che sarà la prossima vendemmia, ma anche e soprattutto per il futuro della singola pianta e dunque dell’intero vigneto. 

Ma perché è così importante la pratica della potatura e perché una potatura non eseguita correttamente può arrecare seri problemi per la vita stessa della pianta?

La vite è una pianta dal carattere acrotonico, i cui rami, nello specifico i cosiddetti tralci, tendono ad allungarsi e a svilupparsi verso l’alto. È essenzialmente una liana perenne la cui crescita è influenzata da fattori abiotici quali il clima, la temperatura, l’umidità del suolo, ecc. 

Per mantenere i tralci nella posizione corretta, durante la stagione vegetativa è necessario scegliere un sistema di allevamento appropriato, considerando che è l’interazione tra potatura e sistema di allevamento a conferire alla pianta la sua architettura, in termini di forma e volume della sua parete fogliare.

Una corretta potatura è fondamentale in virtù di tutte le conseguenze pratiche e fisiologiche che può comportare. La potatura favorisce la regolazione della resa per pianta, controllando il numero di gemme fruttifere, il controllo spaziale della posizione delle gemme a frutto, l’intercettazione della luce della parete fogliare e il microclima della zona/fascia dei grappoli, la qualità dell’acino in relazione al microclima del grappolo e al rapporto foglie/grappoli. Sempre dalla potatura possono dipendere la longevità della vite e il controllo di alcune malattie, in particolare quelle legate al legno. 

Infatti, posto che durante l’allevamento le potature secca e verde sono volte ad equilibrare lo sviluppo aereo-radicale e a favorire l’uniformità futura nel vigneto, l’impostazione della pianta va eseguita vagliando la posizione delle gemme, preferendo quelle poste in senso favorevole allo sviluppo verticale del futuro tralcio, riducendo al minimo le cicatrici di taglio. 

In tal senso, parte dei vasi linfatici possono perdere la loro funzionalità a causa di una irrazionale potatura secca e verde nei primi anni. In virtù di un allungamento incontrollato dei tralci e dei punti vegetativi (i cordoni), si eseguono tagli di ritorno ripetuti negli anni per recuperare gli errori compiuti. Ebbene, la verità è che le ferite di potatura che ne risultano sono troppo grandi e il più delle volte mal posizionate, provocando l’interruzione dei flussi linfatici e l’accrescimento di legno morto atto a ridurre drasticamente le capacità del sistema vascolare ad alimentare i rami.

Dal punto di vista del potatore, la scelta di una determinata forma di allevamento impone un metodo di taglio che tenga conto di due obiettivi fondamentali: garantire il corretto carico di gemme per soddisfare gli obiettivi produttivi e mantenere negli anni lo sviluppo della pianta nello spazio a disposizione.

La forma di allevamento principalmente adottata nell’area in cui ci troviamo, quella vesuviana, è il tendone, affiancata progressivamente dal guyot, monolaterale o bilaterale che sia. In entrambi i casi, la tecnica di potatura è la medesima. Mi piace pensare che il tendone non sia altro che un guyot in altezza.

Il principio è quello di scegliere il tralcio più forte da destinare a capo a frutto per la vendemmia che verrà, e che sarà rigenerato ogni anno. Successivamente va individuato, dopo un’attenta analisi dei tralci, quello avente le gemme meglio posizionate, da speronare. Lo sperone a due gemme rappresenterà il nostro futuro, le uscite per il successivo capo a frutto e il nuovo tralcio da speronare per l’anno che verrà. Tecnicamente, la pratica sembrerebbe di facile applicazione. In realtà, lo scenario cambia da pianta a pianta. Non si tratta di un protocollo da applicare rigidamente, l’approccio osservazionale è sempre da preferire al fine di vagliare il flusso linfatico della pianta prediligendo uscite in continuità del flusso stesso. 

Un erroneo taglio, come detto, può causare danni piuttosto ingenti.  La vite, a seguito di una ferita che espone i tessuti interni all’ambiente esterno e all’eventuale attacco di microrganismi patogeni, tende a difendersi isolando la porzione di legno attaccata, ostacolando così l’avanzamento e la colonizzazione dei funghi responsabili della disgregazione del legno. È interessante notare come, osservando le sezioni longitudinali di fusti di vite, si rileva la presenza di un disseccamento interno in corrispondenza alla zona ferita, il cosiddetto cono di disseccamento.

La grandezza del cono di disseccamento cambia in relazione alle dimensioni della ferita stessa. Infatti, il taglio compiuto su di un legno di uno o due anni di età provoca un cono di disseccamento interno più piccolo e meno profondo rispetto a quello che si genera in corrispondenza di un taglio di un legno di età maggiore, come per esempio in corrispondenza di un taglio di ritorno o capitozzatura.

Concludendo, il primo obiettivo per una corretta potatura sarebbe quello di guidare lo sviluppo dei canali della vite in linea con il filare di posizionamento (di banchina), controllando che la posizione non sfugga negli anni col crescere della pianta, rispettando la sua cronologia naturale di crescita. Inoltre, le ramificazioni devono potersi sviluppare secondo la migliore continuità possibile dei flussi linfatici. Per garantire questo è necessario, nel corso degli anni, effettuare i tagli di potatura dallo stesso lato e in successione, in modo da facilitare la separazione tra la zona morta, interessata dal disseccamento, e quella viva, portatrice del flusso linfatico.

Ancora, è importante anche che i tagli devono essere possibilmente di piccole dimensioni su legni di uno o due anni d’età. In questo modo, si riduce di molto la superficie della ferita esposta all’esterno e quindi la possibile colonizzazione fungina. I tagli andrebbero eseguiti sempre a corona quando i tralci sono inseriti sul flusso principale della linfa. Viceversa, sarà più opportuno eseguirli a raso quando i tralci sono lontani dal flusso principale della linfa. Nel caso in cui non sia possibile evitare il taglio di legni di età superiore ai due anni, o nel caso di ricostruzione del fusto, si procederà al taglio, ma mantenendo una porzione di legno, cosiddetto di rispetto. Il legno di rispetto non è altro che un espediente che permette di allontanare dal flusso principale della linfa la zona del disseccamento conseguente al taglio.

Tutte queste indicazioni di massima sono prescrizioni per una viticoltura di qualità, in linea con il naturale sviluppo della pianta, accompagnandola nella propria crescita senza forzature e costrizioni che ne danneggerebbero la sanità e dunque la longevità nel tempo. 

articolo potatura viti

Noi di Gaia, orientati a sviluppare una viticoltura improntata sulla qualità e non sulla quantità, investiremo moltissimo nella potatura, del resto siamo consapevoli che un vino di qualità nasce in vigna e non in cantina, allevando uve perfettamente sane e mature, nel pieno rispetto delle piante e dei loro equilibri.

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Una forma e un’identità per Gaia

La storia e il processo creativo che c’è dietro il logo di Gaia.

Quando ho trovato il nome giusto da dare a questo luogo, ho sentito la necessità di distinguerlo con un marchio che esprimesse fino in fondo quello che desideravo realizzare. (Se non avete ancora letto l’articolo sul progetto di Gaia, potete farlo qui.) Per questo ho contattato un graphic designer che conoscevo e ho portato a lui tutto il carico di aspettative che avevo nel cuore. Dopo qualche tempo che ci siamo confrontati e ci siamo scritti sui concetti da fermare nel logo, ci sembrava mancasse sempre qualcosa. Alla fine ho capito che la progettazione non poteva mai iniziare col giusto proposito se il grafico non fosse almeno stato una volta su Gaia. Così, ci siamo dati un appuntamento e, insieme, siamo andati su Gaia. Gli ho parlato della sua storia, delle coltivazioni che stavo seguendo e della vegetazione che avevo già trovato lì al mio arrivo. Qualche tempo dopo ci siamo incontrati di nuovo e lui mi ha presentato delle proposte. Questa di seguito è quella che ho scelto e la presentazione del suo processo creativo. Buona lettura! 

Presentazione del logo per Gaia – Azienda agricola

Il processo creativo della proposta per il logo parte dal luogo, inteso come immobile. La forma astratta è in realtà la sintesi del perimetro dell’appezzamento. Dalla planimetria si è tracciato il suddetto, reso un’unica linea curva chiusa, è stato infine ruotato di pochi gradi per renderlo più equilibrato. Questa forma ricorda anche un sassolino. Uno di quelli che si trovano sulle spiagge, utilizzati per la pratica dello stone balancing. Wikipedia definisce questa pratica «una forma di espressione artistica consistente nella realizzazione di composizioni fatte con pietre poste in equilibrio una sull’altra, che in apparenza sembrano essere fisicamente impossibili». L’associazione che mette insieme la forma al sasso e il sasso allo stone balancing, restituisce immediatamente un senso di equilibrio e distensione. I colori del logo, così eterei, donano nel contempo anche un senso di serenità e pace. Infine, la forma piena, di colore celeste, contenuta dalla traccia, assomiglia ad uno specchio d’acqua, un piccolo lago. Rocce e acqua, due elementi naturali che legano immediatamente al nome Gaia, la dea madre di tutti gli dei, personificazione della Terra. Inoltre, rocce e acqua sono anche la sintesi dei due grandi panorami che si possono osservare dalla tenuta. Rispettivamente, il Vesuvio e il Golfo di Napoli.

Anche la scelta dei colori istituzionali è stata condizionata dal luogo stesso. Sono infatti i primi che si percepiscono arrivati in tenuta. Il celeste, è il colore del cielo che sembra poter essere abbracciato con uno sguardo. Così contrastante con il grigio scuro del terreno, quello di origine vulcanica che caratterizza l’intera area e che è anche così fertile. Fertile per tante qualità di piante, come ad esempio gli ulivi che con il loro verde arricchiscono lo scenario di Gaia.

Il font scelto per il progetto, progettato dalla Latinotype, si integra perfettamente con la forma astratta per le sue linee morbide e le A leggermente arcuate. 

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Gaia: una terra dove piantare desideri

Voglio raccontarvi in dettaglio cos’è Gaia e quali sono i miei progetti su questo meraviglioso luogo.

Quando mi sono messa alla ricerca di un appezzamento dove poter iniziare la mia nuova vita, ho valutato vari posti e varie località. Poi la mia scelta è ricaduta su un terreno nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, nel comune di Boscotrecase, uno dei tredici comuni vesuviani. Un fazzoletto di terra di circa un ettaro, dal terreno scuro, di origine vulcanica. Ho sentito subito empatia con questo luogo e una forte sensazione di serenità. Vi confesso che non ci è voluto poi tanto per decidere che questo luogo doveva essere quello dove piantare il mio desiderio di ristabilita relazione con la natura. Ho deciso di battezzare questo luogo Gaia, come la dea madre terra. Perché Gaia è la terra che accoglie tutti coloro che vogliono ritrovare il contatto con la natura e godere della sua energia vitale. È la terra che nutre con i suoi frutti, coltivati con la massima cura e rispetto per la biodiversità, nell’assennata ricerca dell’equilibrio perfetto tra tutti gli esseri viventi che la compongono. Gaia è un luogo che arricchisce con i suoi insegnamenti, che riempie gli occhi di stupore per la bellezza che la contraddistingue. 

Ma non è solo un luogo. Gaia è anche un progetto, un’idea di convivialità, accoglienza, cura, rispetto, cultura, condivisione, svago, genuinità, autenticità e amore. Un insieme di componenti, ascrivibili non soltanto alle pratiche colturali, ma anche ad una serie di servizi che questo luogo si propone di offrire a chi vorrà prendervi parte. Anzitutto, mi riferisco ad un servizio di somministrazione e di degustazione a tuttotondo. Oltre ai nostri prodotti, disponibili stagionalmente a seconda del periodo, il progetto prevede degustazioni guidate di vini per aree tematiche, piccoli corsi di avvicinamento al vino in generale e alla scoperta di abbinamenti cibo/vino. C’è una grande cultura dietro a questi elementi. Da sommelier professionista, attraverso Gaia, desidero condividere con voi l’incredibile mondo che si cela dietro ad un bicchiere della nobile bevanda. Fino ad arrivare, quando i tempi saranno maturi e il nostro progetto vitivinicolo raggiungerà pieno compimento, alla presentazione della nostra produzione di vino locale.  

Gaia sarà inoltre disponibile per eventi privati. Accoglieremo piccoli gruppi di persone che sentono la necessità o il desiderio di ritrovare il contatto con la natura. Oppure artisti o professionisti, per eventi culturali, artistici e per serate di musica dal vivo. Non mancheranno le attività didattiche. Gaia infatti si propone di iscriversi all’albo delle fattorie didattiche della Regione Campania, con l’obiettivo di organizzare laboratori culturali e colturali per i bambini di ogni età. Secondo il mio parere, proprio ai più piccoli non dovrebbe mai mancare il contatto con la terra, con le piante, i fiori, gli animali. Da loro bisogna, infatti, partire per portare alle luce quei valori propri della terra, che ci aiuteranno a ricostruire un mondo e quindi una società migliore.

Gaia è un luogo lontano dai condizionamenti e dalle sovrastrutture della società di oggi. Lontano da un mondo in cui la sostanza lascia sempre più il posto all’apparenza, dove i sentimenti e i valori si sviluppano superficialmente e non affondando le radici in profondità. Dalla nostra società in cui il consumismo prevarica sulla salubrità dell’ambiente, dove l’essenziale diventa “invisibile agli occhi”. Dove l’individualismo cela la collettività di un sistema naturale in cui noi umani siamo chiamati a convivere e a rispettare altre specie viventi, animali e vegetali. La verità è che siamo soltanto una parte del tutto, ma facciamo fatica a capirlo, pur essendo indubbiamente gli esseri più intelligenti del pianeta. 

Bene, penso non esisti tempo più adatto per cambiare rotta e provare a rompere gli schemi sociali fin qui imposti. Io, nel mio piccolo, ho deciso di farlo con Gaia.

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Io sono Giulia e questo è il mio sogno

Prima di parlare del progetto di Gaia, degli step raggiunti in questi mesi e di quali novità vorrei proporre in futuro, sento di dovermi presentare e raccontare un po’ la mia storia.

Sono originaria di un paesino alle falde del vulcano che si chiama, per l’appunto, San Sebastiano al Vesuvio. Terminato il liceo scientifico nella mia cittadina, sento la necessità di cambiare luogo e per questo mi trasferisco a soli 200 km, nella meravigliosa capitale, Roma.

Innamorata della città eterna, inizio con gioia il mio percorso universitario, laureandomi prima in giurisprudenza nel 2011 e poi in economia nel 2013. Nel 2014 divento avvocato, ma senza mai esercitare la professione forense.

La mia carriera lavorativa inizia con uno stage presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dipartimento di studi e analisi della legislazione. Qui mi appassiono fortemente al diritto della concorrenza. Poi, in un secondo momento, capisco che anche lo splendido rapporto lavorativo e personale instaurato con le straordinarie professioniste del mio ufficio gioca a favore della mia passione. Nella speranza di poter vincere il concorso pubblico per entrare definitivamente nella compagine dell’Autorità, accumulo master, esperienze lavorative come consulente di settore, titoli di studio vari e, parallelamente, mi iscrivo ad un corso professionale per sommelier, tenuto dall’Associazione Italiana Sommelier.

Il vino da sempre è stato la mia passione, ma volevo approfondirne la conoscenza, le denominazioni, i territori, le pratiche vitivinicole. Ben presto mi rendo conto che il lunedì sera (il giorno del corso di sommelier) è, in effetti, il mio unico momento felice di tutta la settimana. Questa consapevolezza alimenta in me un forte desiderio di cambiamento e mi mette in crisi rispetto la vita che conduco.

Con questo desiderio nel cuore, decido di mettere un punto e ricominciare daccapo. Come una nuova vita. Conseguo il diploma da sommelier e mi iscrivo alla scuola internazionale di cucina l’ALMA, per poi conseguire nel 2019 il Master Sommelier ALMA-AIS sulla gestione e comunicazione del vino. Quest’esperienza, con annesso stage presso l’azienda vitivinicola Daniele Piccinin nella Lessinia veneta, mi ha segnata profondamente, consolidando le mie consapevolezze e la mia voglia di ritorno alle origini. Un desiderio di ristabilire un contatto con la mia terra natia, con la natura. Da quel momento, nessun rimpianto. Non c’è un solo giorno in cui non confermi le mie scelte e mi senta davvero felice.

Il progetto Gaia è venuto fuori da questo periodo. In questo luogo ho messo tutti i miei desideri, coltivandoli come sogni da guardare fiorire, nella speranza di raccogliere presto i frutti da poter condividere con tutti. Nei prossimi articoli vi illustrerò meglio il progetto e gli step finora raggiunti.